Questa raccolta di testi nasce come insieme strutturato di ammaestramenti utili all’amante e apprendista dell’Arte Reale per approfondire e sviluppare la sua Arte. Possiamo dividere la raccolta in alcune fasi, o segmenti, o capitoli, variamente strutturati, che in un futuro che non sta a noi definire un diligente Allievo saprà organizzare e strutturare per il bene dei Cercatori e dell’Umanità. Procediamo dunque per ordine.
Primo ciclo. In sostanza il primo ciclo copre l’anno del Primo Lavoro e descrive esaustivamente tutto quanto di necessario e pubblicabile vi è per fare il Mercurio Comune, e con il concludersi dell’anno, questa funzione è da considerarsi esaurita. Perché, come ben sanno tutti i Cercatori, nell’Arte Reale la difficoltà sta nella produzione di questo Mercurio originale, basilare, radicolare, fonte di ogni vita ed esistenza, materia dalla quale tutti sappiamo che Dio plasmò l’Universo. Alcuni lo chiamano anche Chaos originale, e dicono la verità. E’ il momento principale per l’insegnamento, in quanto tutti i Filosofi parlano ampiamente delle fasi posteriori, di come arrivare al Mercurio Filosofico partendo da quello Comune, e anche di come fare la Pietra, la polvere di proiezione e l’oro partendo dal Mercurio Comune, e lo fanno con grande dettaglio e chiarezza, ma pochi o nessuno parla della fabbricazione del Mercurio Comune. Il Filalete è un esempio egregio per questo: tanto palese e benevolente per le opere successive alla prima, tace totalmente e con perfida invidia sulla prima, inducendo il desideroso lettore in grave fallo. Il Mutus Liber invece usa una tattica diversa. Ne parla in poche tavole, ma poi le sparge alla rinfusa tra le altre immagini, distruggendo la consequenzialità e così confondendo il lettore. Altri non sono da meno.
Questo lavoro è stato da Noi raccolto nei primi testi pubblicati, che vanno dalla preparazione della materia originale fino alla costituzione del Mercurio Comune, e lì – compiendo l’anno – si ferma. Chi sa leggere questi primi testi pubblicati e mettere in atto quanto ivi descritto, completando le parti espresse con le nozioni che possono essere trasmesse solo a voce da Maestro ad Allievo, giustamente può ben sperare di conquistare la Corona Eliopolitana in pieno diritto e conoscenza! Ed è inutile cercare in mille testi, quel che in poche parole può essere detto. L’allievo sincero applichi il detto che lo esorta a leggere e rileggere per capire, non c’è bisogno di impoverirsi e spendere tutti i denari del proprio patrimonio accumulando caterve di libri di ogni tipo, scritti da veri o presunti filosofi. Un testo alchemico è caratterizzato dal fatto che ad ogni lettura dischiude delle novità al suo sincero lettore e che in sostanza racchiudo tutto quanto è necessario sapere. Un pezzettino alla volta concede la propria conoscenza, lentamente e in modo da non sovraccaricare il lettore.
Chi ha un vero testo in mano, non abbisogna di altro per capire, e può procedere direttamente al lavoro nel suo laboratorio, attendendo di ricevere la integrazione necessaria prima per gli aspetti pratici da un Maestro, poi per la sostanza dal Fuoco.
Abbiamo visto persone cadere in rovina per riempire la loro biblioteca di scritti di ogni tipo, cercatori delusi fino alla follia per le contraddizioni vere o apparenti tra i testi! Abbiamo dovuto assistere alle convulsioni di sedicenti “filosofi” che per guadagnare oro volgare con le loro pubblicazioni, sono scaduti ad imbonitori del popolo! Ricordiamo il paradigma fondamentale dell’Alchimia, da tenere bene in mente da parte degli Allievi e dei cercatori tutti: un Maestro non guadagna dalla sua Arte, ma scrive ed insegna gratuitamente. Non accetta nè spende denaro, non tocca i metalli nei luoghi santi. Infatti Ptah non tocca mai metalli in un tempio, una sinagoga, una moschea o una chiesa, ed analogamente l’Alchimista non può fare mercimonio sotto alcuna forma del suo sapere e del suo lavoro all’interno del Palazzo del Re. Se pubblica libri, per i quali deve essere sostenuto un costo, non potendolo sostenere lui, cede i diritti all’editore e non riceve nulla in cambio.
Cari cercatori ed aspiranti allievi, ricordate le nostre parole profferite senza invidia o ritrosìa: se un sedicente maestro vi chiede soldi o favori, sotto qualsivoglia forma, o ve ne offre o promette, fuggite, fuggite, fuggite!
Che vi inviti a comprare libri dai quali riceve lui stesso i proventi, che vi chieda tasse di iscrizioni in suoi corsi, club, associazioni o bocciofile: fuggite, fuggite, fuggite!
Ricordate: che chieda o che dia cose diverse dalla conoscenza pura e strumenti utili al lavoro: fuggite, fuggite, fuggite!
Completata questa prima riflessione indroduttoria e prima di andare oltre, vogliamo però parlare di un aspetto sempre taciuto, e che in questi tempi è giusto palesare.
A tutti è ormai chiaro che la Prima Opera, l’ottenimento del Chaos assoluto, del Mercurio Comune, opera la “distruzione dell’oro” in questo universo. Questa opera seminale assoluta riporta indietro gli orologi della creazione, porta all’origine il Tutto.
Oggi sappiamo che la fisica di Einstein descrive solo una fenomenologia specifica macroscopica, un sottoinsieme, della conoscenza quantistica definita con completezza e insegnata da Heisenberg e da molti avversata per motivi ideologici più che scientifici. Da questo nascono ulteriori quesiti che se non già li possiamo semplicemente risolvere, è però giusto porre sul tavolo. Senza voler entrare in aspetti scientifici riservati alle menti dedicate, possiamo però dire che la meccanica quantistica, completata dalla grandiosa e quasi conclusiva costruzione teoretica di Hawkins, è una realtà certa. Per questo anche l’Alchimista accorto deve porrsi un quesito importante quando osserva il dischetto di Mercurio Comune che tiene in mano, dopo averlo ottenuto. Deve chiedersi “Il mio Chaos è il seme di questo o di tutti gli Universi?A quali limiti è sottoposto? E se egli stesso fosse solo una parte di un tutto polimorfo e infinito?”
Guardandolo penserà: “L’opera futura che mi accingo a fare, per la quale sono arrivato fino a qui, quella specificazione sublime che mi porta al Mercurio Filosofico e quella vegetazione moltiplicativa finale che mi regalerà l’Oro, si estendono in tutti gli Universi o solo in questa piccola applicazione già specificata e precisa, in questo Universo particolare, in questa gemma dell’Essere?”.
Questa riflessione è alquanto importante e giusta, e nessuno degli antichi parrebbe essersela posta, anche perchè nessuno di loro conosceva quel che oggi sappiamo. Ma è vera questa affermazione? Non si dice forse nel Filalete che tra i filosofi molti procedono a fare il Mercurio Filosofico e la Pietra, ma non tutti lo fanno? Non continuano gli antichi a sottolineare che l’Adeptato è completamente raggiunto con il Mercurio Comune? Non ricordano spesso nascondendolo sotto mille forme diverse, che la Pietra e l’Oro NON sono il fine ultimo dell’Alchimista, ma solo una banale applicazione della sua Arte?
Ed allora, cari lettori, voi che ormai possedete in forma accessibile volgarmente le conoscenze prima irraggiungibili e celate, siete ben consigliati a riflettere anche su questo aspetto della nobile Arte che tiene nei suoi artigli la vostra mente. Meditate anche su questo, e vedrete che la conoscenza vi sarà più lieve e minore stupore vi pervaderà quando ri-conoscerete il Mercurio Comune, quando lo vedrete tra le vostre dita annerite dalla fuliggine e dalla stibina!
Detto questo, torniamo al nostro “blog”. Finito l’ammaestramento per la Prima Opera, finite le istruzioni chiare e semplici per condurre in sano e salvo porto la vostra navigazione alla ricerca del Mercurio Comune, il tono cambia e gli argomenti si diversificano.
A dire il vero, segue un momento di mirata confusione, in cui mille diversi argomenti un pò riprendono cose già dette, con pedante ripetizione, ed altri paiono dilungarsi su temi del tutto diversi, meno interessanti o comunque difformi. Chi cercasse un filone logico, bene ordinato come un battaglione di Federico il Grande di Prussia, resta amaramente deluso. Molti diranno che Ptah si è stufato di essere ragionevole. Alcuni rimpiangono la chiarezza della prima parte, sopratutto dove Ptah rispetta una rigida consecutio temporum, dove per la prima volta un Alchimista descrive l’operatività in sequenza vera e veritiera. Il lettore si aspettava ora la descrizione delle opere successive, con analoga benevolenza e mancanza di invidia, e invece si trova davanti ad una struttura nemmeno apparentemente ordinata e di difficile riordino.
A tutti coloro che così si affliggono, non possiamo certo dare torto, ma possiamo regalare invece una piccola chiave di lettura. Provate in primis ad estrarre i pezzi che riprendono argomenti già descritti e metteteli da parte. Poi estraete quanto vi pare di riferimento a fatti reali o idee volgari. Poi infine, mettete su un terzo mucchietto le riflessioni che restano oscure o di cui non riconoscete di primo acchito la sistemazione nella Grande Opera.
Fatto questo contate i testi del primo, del secondo e del terzo mucchietto. Osservatene le proporzioni tra di loro e ricordatevi che Ptah usa alcune parole per dirne altre, che Ptah punta il dito ma non si sposta a raggiungere una meta, che Ptah parla per simboli e non per descrizioni.
Inserite allora i testi del primo mucchietto nel corpo dei contributi del primo ciclo e dalla frequenza traerete preziose indicazioni operative.
Usate la conta del secondo per fare giuste proporzioni.
Infine, così ordinato il tutto, sarete liberi di esaminare il terzo mucchietto, che necessità di ulteriore analisi e suddivisione e sul quale la vostra mente amerà giustamente soffermarsi. In questo molte cose sono dette, altre accennate, ancora altre sapientemente celate, ma al centro vi è data una chiave preziosissima, che non potrete non utilizzare. Questa chiave è contenuta nel racconto “Intermezzo”, che non per puro caso prende questo insolito nome, generalmente indicatore di un valore secondario, inferiore, dell’argomento trattato. Di un momento di relax, di pausa.
Intermezzo. Treno. Stazioni. Viaggio tra posti e permanenze in essi. Beh, crediamo che nessuno ormai potrà mai più accusare Ptah di essere colmo d’invidia, portato da desiderio di occultamento o da scarso amore per i propri lettori!
Cicerone nel “Cato Major de senectute” ricorda che la natura ha per ogni cosa una sua misura, e tale misura non si applica solo alla vita degli uomini, fatto in sostanza abbastanza banale, ma anche alle opere, ai pensieri, all’intelletto espresso e praticato. In verità negli atti è più difficile trovare e rispettare tale misura, aggiustando l’opera di continuo, che eseguire l’atto in sè! Ogni cosa ha una sua ragione e un mondo in cui svilupparsi, un ambiente suo proprio, un momento, un volume, un colore ed una temperatura, ogni fenomeno il suo tempo, ogni essere una nascita, un a vita, una morte. E nulla deve forzare questa regola, il vecchio non torni bambino e bene fanno i saggi orientali che sperano con le loro opere di evitare il doversi rituffare, dopo essere stati rispettati ed onorati filosofi, nella culla nuovamente, sommersi dai propri vagiti e della propria miserrima impotenza!
Per meglio approfondire l’argomento spesso è necessario osservarlo da angoli diversi, come oggi permettono di fare i programmi per computer di “rendering”, cioè quei sistemi bellissimi che da poche istruzioni creano prima dei solidi di varia forma, poi li strutturano con una rete finissima per infine rivestire queste strutture con i più variopinti vestiti. Nascono così, con una sorprendente facilità e poche istruzioni alla tastiera, prati o muri, la cattedrale di marmo si trasforma in un palazzo eretto con mattoni cotti alla romana con un colpo di un tasto, cerchi si trasformano in stelle e da semplici ruote crescono colonne imperiali come d’incanto.
Ebbene, voi che avete letto il primo capitolo del racconto del Viaggiatore che Ptah vi ha trascritto in “Intermezzo”, dovreste ormai avere fatto con questo testo quel che il citato programma fa con cerchi e quadrati. Presumo infatti che abbiato preso il testo sottoponendolo alle aggiunte e trasformazioni necessarie, completando la struttura del suo “mesh” come si usa dire oggi, o più semplicemente come usa Ptah “rete strutturale”.
Alcuni avranno anche tentato di regalare poi un vestito alla struttura, nuda e simile ad un manichino da sarto più che ad un essere vivente. Ognuno avrà scelto il vestito che più gli aggrada, facendo opera di misericordia e di arroganza, come è facile capire. Infatti ogni misericordia è ed agisce sempre agisce tramite l’arroganza, ma questo argomento non è adatto a questa nostra riflessione.
Avete pertanto una idea abbastanza buona della sorte del nostro Viaggiatore e del viaggio stesso, atto in cui Maestro e Allievo si fondono per generare il sempiterno ciclo del Treno.
Bene, Ptah vi prega allora di applicare questa vostra conoscenza ai vari post di cui prima abbiamo disquisito. Immaginate che ognuno di esso sia un racconto fatto dal Viaggiatore in una delle innumerevoli osterie che ha visitato negli altrettanto innumerevoli soggiorni che ha fatto ad ogni fermata del Treno. Pensate di vedere seduto Ptah alla maniera dei locali, come se fosse simile a loro, a disquisire, discutere, chiacchierare e gesticolare come è l’uso locale, per raccontare le proprie favole, parabole, iperbole, scherzi e follie. Immaginate Ptah come il cerchio estruso del programma che diventa colonna e si struttura con la rete che gli da forma. E poi immaginate Ptah che si veste con la “texture” del caso, quella che lo fa apparire simile, lo fa confondere tra gli avventori del’osteria, che gli permette di nascondere quella sua strutturale e irrevocabile, inalterabile alterità che Paolo Lucarelli, il maestro di Ptah, chiamava differenza non di razza, ma di specie.
Spesso oggi i maghi della animazione nei film usano un trucco che ci piace molto e rende molto bene l’idea. Non avete mai visto in una di queste pellicole che un soggetto si “disfa” letteralmente perdendo prima le caratteristiche della sua superficie, rimanendo nuda rete, e poi la rete stessa scompare in una tripudio di stelle luccicanti? O di contro che un uno spazio desolato e vuoto di colpo compaiono stelle luccicanti e cresce una rete che prontamente si copre di materiale tanto simile al vero da restare credibile?
Ptah è come questi personaggi virtuali dei film di animazione. Quando scende dal treno porta con sè il suo Sè, la base, cerchi e quadrati ben assortiti e scelti con cura. poi si guarda in giro, misura dimensioni e forme di quanto vede. Ci sono case, grandi e immobili, animali, piccoli e grandi, volanti o pelosi. Sassi, piante di ogni forma e colore. Esseri dotati di intelletto, di mille forme e linguaggi. Alcuni comunicano con il suono, altri con la luce, altri in altro modo ancora e altri mille ancora. Intanto che Ptah guarda cresce il suo mesh, la rete della sua forma specifica di quella fermata. E’ come nel film quando si vede crescere la rete, trasparente ed invisibile dapprima. Poi ad un tratto, quando Ptah ha finito questa sua opera del tutto spontanea ed automatica, di ricognizione e recupero di codici e parametri utili al programma per costruire se stesso, Ptah appare nella forma più consona. Minuscolo neonato, bocciolo di fiore, folata di vento o raggio di luce, Ptah si veste della sua texture e appare in modo riconoscibile alla maniera d’uso presso quella stazione. Ptah è.
Ed allora Ptah passa per le strade, frequenta la scuola, mangia la pizza e frequenta l’osteria. Ptah vede e sorride.
Infine, se il tempo è buono e lo consente, e Ptah è misericordioso a sufficienza, Ptah parla a tutti coloro che lo ascoltano. Ptah parla agli esseri senzienti, Ptah parla al vento, parla alla luce e a a se stesso. Perchè per Ptah nulla è più difforme della Stazione in se stessa, il mondo che si apre davanti alla Stazione è di specie di versa da Ptah e tutto quanto contiene è ovviamente della stessa specie della Stazione. Così Ptah non può fare differenza nelle sue parole, che escono da lui come il fiume da una montagna. La differenza tra i vari greti del fiume, tra i decorsi che prende l’acqua, non la fa la fonte, ma il tragitto dell’acqua, e Ptah abbandona l’acqua, una volta che le ha fatto da fonte.
Ptah non è altro che il Mercurio Comune, che in certi momenti, ma non sempre, esce da una Stazione e si mescola nella realtà di quel mondo, diventando Mercurio Filosofico. Se lo desidera e le circostanze lo suggeriscono, se il tempo è buono e propizio alla crescita della vegetazione verdissima che copre le pianure boscose, allora Ptah può anche farsi Pietra, ma raramente lo fa. Perchè Ptah non sempre ama agire, Ptah è, e di questo è pienamente soddisfatto nella propria pienezza.
Dopo avere così ampiamente chiarito come crediamo mai sia stato fatto finora, alcuni punti della Nostra Arte e delle leggi che la reggono, possiamo alla fine chiudere con una osservazione. Una riflessione aggiuntiva, giusto per non lasciarvi, attenti lettori, con la terribile sensazione di vuoto che assale chi avendo compreso, pensa di non avere più nulla da apprendere, cercare, aggiungere, ottenere.
Giusto uno spunto. Abbiamo discusso del viaggio di Ptah. In esso Ptah accompagna un Allievo alla conoscenza dell’Arte viaggiatorea. Ma quando non si trova in viaggio, Ptah cosa fa? Esiste un Ptah senza un treno?
Non abbiamo risposte per voi ora, ma pensate al Coronavirus, al mondo ammalato al quale in questo momento manca il respiro. Immaginate di fermare il respiro.
Con costante e sincero affetto,
Vostro
Ptah